mercoledì 5 luglio 2017

Aprire un bed&breakfast con 120 mq da ristrutturare: ecco dove investire





Mettersi in proprio. Ovvero lavorare per se stessi, meglio se al contempo ci si può dedicare a una vera e propria passione ed avere la possibilità di socializzare con persone che arrivano dai vari angoli del Globo. Insomma, se la crisi persiste e la disoccupazione diminuisce lentamente, perché non sfruttare le meravigliose opportunità di attrazione turistica che l'Italia offre e avviare una piccola attività imprenditoriale basata sugli immobili e sull'ospitalità? La risposta potrebbe essere “bed and breakfast”.
Il giro d’affari 
La domanda se la devono essere posta in tanti e le risposte non sono tardate ad arrivare, tanto che secondo l'ultimo dato pubblicato dall'Istat il numero dei bed and breakfast (o B&B) in Italia è a quota 25mila unità. Ma c'è di più: secondo il portale Bed and breakfast” questa attività dà lavoro, nel nostro Paese, a 40mila persone, con una stima di otto milioni di pernottamenti venduti all'anno, con un fatturato annuo di circa 270 milioni di euro. Inoltre risulta che, nella maggior parte dei casi, il gestore di un B&B è una donna (61,31%) e possiede un'istruzione superiore alla media. L'87% dei gestori possiede un titolo di istruzione superiore e, dentro questa percentuale, il 28,55% ha una laurea e il 5,5% addirittura un Master post laurea; il 90% di loro parla una (44,27%) o più lingue (45,71%) straniere: tutt'altro che un “ripiego”, insomma. Ma sicuramente un'alternativa ai tempi lavorativi che cambiano, visto che l'età media dei gestori di B&B sale (rispetto al sondaggio effettuato dal portale nel 2007) e i titolari tra i 46 e i 65 anni sono in aumento del 16,34%, con un +7% degli over 65. Quasi la metà (il 46,5%) si dedica esclusivamente a questa attività, mentre il restante 60% è suddiviso tra pensionati ((11,55%), impiegati (10,74%), liberi professionisti (10,18%), imprenditori e commercianti (8,32%), insegnanti (3,27%).
L’INVESTIMENTO PER COMPRARE 
Prezzi di acquisto nelle località e zone più richieste per un'attività di Bed and breakfast (euro al mq)
Le motivazioni 
Chi apre un B&B lo fa tanto per “incrementare le entrate familiari”, quanto per pura passione e per il piacere di accogliere ospiti da tutto il mondo. “Diversi disoccupati sono riusciti ad affrontare il periodo di crisi mettendo a reddito una proprietà – emerge dall'ultimo sondaggio del portale – altri hanno abbandonato il loro lavoro e iniziato ad intraprendere l'attività di Bed and breakfast per rimanere più vicino a figli o genitori”. E – il che non guasta – nonostante il perdurare della crisi, la situazione economica dei gestori di B&B migliora nel 5% dei casi e chi accusava alcune criticità nel 2014 (57,13%) ne lamenta meno nel 2016 (52,42%), con un aumento, seppur lieve, di chi si considera in una situazione di agiatezza.
I requisiti normativi 
Va subito detto che la normativa nazionale si dipana poi in leggi regionali, ma in genere il numero massimo di camere consentito per godere delle facilitazioni fiscali (ad esempio, non c'è bisogno di aprire una partita Iva) va da tre a sei, con un numero massimo di posti letto che varia da sei a, comunque, meno di 20 (in questo occorre esaminare in dettaglio le normative regionali). Considerando che, in media, si richiede una dimensione minima di 8 mq per la camera singola e 14 mq per la doppia, ipotizzando di voler offrire cinque camere (tre doppie e due singole) si ottiene un minimo di 58 mq, a cui vanno aggiunte le parti comuni, che possono variare a piacere (con requisiti minimi imposti dalle diverse normative). Si può scegliere di dotare ogni camera di un bagno privato, ma nella maggior parte dei casi il bagno è in comune (con un numero massimo di camere per ogni bagno). Ipotizzando anche uno spazio condiviso in cui consumare la colazione _ che è obbligatorio fornire _ ma tenendo presente che non è richiesta una vera e propria “sala colazioni”, bensì uno spazio in cui gli ospiti possano avere accesso alle bevande e agli alimenti, si può tranquillamente affermare che una dimensione di circa 120 mq è più che sufficiente per avviare un buon livello di attività.
L’acquisto dell’immobile adatto 
Molti dei gestori di Bed & breakfast partono avendo già un immobile a disposizione, spesso di famiglia. Ipotizzando però di cominciare da zero, questo è ancora un buon momento: se le transazioni del settore residenziale aumentano, non sono invece aumentati, nella maggior parte dei casi, i prezzi degli immobili. Abbiamo così chiesto a Tecnocasa un'indicazione dei prezzi medi di immobili nelle località e nelle zone più richieste per svolgere l'attività di Bed&breakfast, quelle in pratica in cui il tasso di occupazione sia più elevato e, di conseguenza, la redditività sia superiore. Con un inciso: la normativa sui B&B prevede che l'attività svolta debba essere “occasionale” e quindi impone un periodo di inattività. Facendo così riferimento ai citati 120 mq, per fare qualche esempio, a Firenze in zona centrale (San Gallo) occorre mettere in conto dai 400mila ai 480mila euro (a seconda della qualità dell'immobile); a Napoli in zona Duomo dai 162mila ai 220mila euro; a Verona (Cittadella) dai 360mila ai 290mila euro. A Roma, ovviamente, molto di più, in zona Trevi-piazza Barberini, per esempio, dai 790mila agli oltre 900mila.
Ristrutturazione e altri costi 
Ai costi vivi per l'acquisto dell'appartamento vanno aggiunti i costi di ristrutturazione, indispensabili per rendere la residenza adatta all'ospitalità Bed&breakfast. L'accesso alle camere, per esempio, deve essere indipendente e non passare attraverso altre stanze, poi ci sono le aree comuni, i bagni e, naturalmente, occorre essere in regola con i requisiti urbanistico-edilizi, igienico-sanitari e di sicurezza prescritti. Se è difficile fare stime generalizzate dei costi di ristrutturazione, si possono prendere a riferimento alcuni studi ad hoc.
Il portale di Ediltecnico ha calcolato che per ristrutturare una casa di circa 70 mq si spendono, in media in Italia, 34mila euro, con Roma in testa a 38.900 euro: sono stati presi in considerazione demolizione, rimozione e costruzione dei tramezzi, intonaci e rasature, rifacimento pavimenti e rivestimenti, opere di tinteggiatura e cartongesso, opere da idraulico, rifacimento impianto di riscaldamento, rifacimento impianto elettrico, assistenze murarie, condizionamento dell'aria e infissi; fornitura materiali. Si tratta quindi di ristrutturazioni complesse che banalmente “spalmate” su una superficie di 120mq si aggirano intorno ai 50mila euro. Secondo il portale Idealista.it, è difficile generalizzare, e la “forbice” non può che essere molto ampia: si può parlare di un costo tra i 200 e i 600 euro/mq, in funzione di molti fattori variabili, che spalmato sui 120 mq dà una cifra compresa tra i 24mila e i 72mila euro.
Molte Regioni richiedono anche che, per poter applicare il trattamento fiscale dei B&B, il gestore sia residente nello stesso, altre prevedono la possibilità che sia nelle vicinanze, ma in ogni caso devono essere garantite la prossimità e la reperibilità. Va però aggiunto che molti dei lavori di ristrutturazione godono delle agevolazioni fiscali e che molte Regioni mettono a disposizione finanziamenti agevolati proprio per l'apertura di attività come quella dei B&B.
I potenziali ricavi 
Sul fronte dei ricavi i calcoli vanno naturalmente effettuati caso per caso, ma secondo il portale “Bed and Breakfast” il prezzo medio di una notte per persona oscilla tra i 25 e 35 euro nel quasi 70% dei casi, nel 30% dei casi è però superiore a 35 euro; nel 94% dei casi la colazione è inclusa nel prezzo. Naturalmente location privilegiate e città molto richieste come Venezia, Roma, Firenze e così via, prevedono tariffe molto più alte. Il totale della “piena occupazione” va poi tarato con l'occupazione media dell'area e _ fattore da non sottovalutare _ vanno tenute in considerazioni le percentuali da pagare ai motori di ricerca che consentono un buon marketing della propria struttura, percentuali che facilmente possono arrivare al 15 per cento. Facendo conti molto semplificati (e ottimistici), possiamo ipotizzare che le citate cinque camere rendano circa 78mila euro l'anno lordi (una media di 40 euro a persona, per otto persone, per 30 giorni e per nove mesi in totale, tenendo conto del costo delle colazioni), che togliendo il 10% medio di commissioni ai portali turistici specializzati diventano 70.200 euro (da cui togliere le imposte, ma diluite dai benefici delle agevolazioni delle ristrutturazioni). Suddivisi su 12 mesi (anche se poi per tre non si lavora), stiamo parlando di 5.850 euro al mese, lordi.
A conti fatti conviene? 
La risposta dipende molto anche dall'inventiva del gestore: si guadagna non solo dal costo del pernottamento, si possono aggiungere tutta una gamma di servizi che, oltre a rendere piacevole l'esperienza dell'ospite, consentono di incrementare i guadagni. E poi resta la soddisfazione di lavorare per se stessi, essere a contatto con ospiti da tutto il mondo e di andare in vacanza, considerando di dedicare un mese al mantenimento, almeno due mesi all'anno.
A esaminare nel dettaglio gli immobili più interessanti e i trend dei Bed and breakfast in Italia è Fabiana Megliola, responsabile dell'Ufficio studi del Gruppo Tecnocasa. Ecco le linee principali nelle diverse location.
A Roma 
Nella Capitale naturalmente è il cuore della città a essere scelto da chi vuole aprire un B&B. Tecnocasa sottolinea che si cerca in tutto il centro storico, ad eccezione delle aree di Porta Pia e Prati. Vanno bene piazza del Popolo, via del Babuino e piazza di Spagna. In piazza del Popolo e in via del Babuino le quotazioni medie sono di 8000-9000 euro al mq, mentre ai piani alti in piazza di Spagna si registrano punte di 15mila euro al mq. Nelle altre zone del centro di Roma i prezzi scendono mediamente a 5000-6000 euro al mq per raggiungere valori di 7000-8000 per le location di via Veneto, Fontana di Trevi e piazza Navona. Intorno al Pantheon e nel Ghetto Ebraico non si superano gli 8000 euro al mq per le soluzioni da ristrutturare, con punte di 10milaper le abitazioni in buono stato. Le strade maggiormente apprezzate sono via Cassiodoro, via Tacito e piazza Cavour, dove si concentrano prevalentemente palazzi di stile umbertino che hanno quotazioni di 6000-7000 euro al mq, da ristrutturare. Piace anche la zona Prati, Cola di Rienzo, Borgo Pio, dove con un budget di 300-450mila euro si acquistano bilocali o trilocali da destinare ad affittacamere o B&B. A titolo di esempio, in piazza di Spagna una camera rende da 150 a 250 euro a notte, in piazza Navona e Campo dei Fiori si può andare da 130 a 200 euro e in zona Vaticano da 80 a 100 euro a notte.
A Firenze 
In zona Santa Croce e San Gallo i prezzi sono in aumento, secondo Tecnocasa, e il mercato è dinamico grazie alle richieste di acquisto da parte di investitori in cerca di abitazioni da adibire a B&B. La domanda si focalizza su appartamenti con una o due camere da letto e dal valore compreso mediamente tra 200 e 300mila euro.
Verona 
È il centro storico della città a registrare la domanda di investitori intenzionati ad avviare attività di B&B e affittacamere. Con questa finalità ci si orienta prevalentemente su soluzioni ubicate nei pressi delle location più interessanti dal punto di vista turistico, soprattutto piazza Duomo e piazza Erbe. Ma piacciono anche le zone limitrofe come Cittadella e San Zeno.
Napoli. “Nel centro storico si registra un ulteriore aumento della richiesta da parte di investitori che intendono avviare attività di B&B e affittacamere per turisti _ spiega Fabiana Megliola _. Si tratta di un fenomeno in crescita che ormai compone una fetta importante del mercato immobiliare di quest'area della città”. Chi acquista per avviare attività di B&B si focalizza su soluzioni con almeno quattro locali, dai 120 mq in su, i cui valori partono da 200mila euro. Il canone di una stanza oscilla tra 40 e 70-80 euro a notte. Interesse anche nella zona di Monteoliveto–Orefici.
Palermo 
Nel centro storico della città siciliana si rileva un aumento delle richieste di acquisto ad uso investimento: “Per avviare attività di B&B o affittacamere si mettono in conto 50-60mila euro per soluzioni da ristrutturare, posizionate sulle strade principali e inserite in palazzi d'epoca”, spiega Fabiana Megliola. Interessante anche la zona della Stazione.
Costiera amalfitana 
Il mercato è abbastanza vivace a Sorrento, dove è in forte crescita la domanda di molti investitori, provenienti principalmente da Napoli e provincia, che ricercano costantemente immobili da adibire a strutture ricettive extra alberghiere. Le metrature più richieste, secondo Tecnocasa, partono dai 70 mq. Interesse anche a Castellabate, nel Cilento, dove si registra una maggiore richiesta di immobili da destinare all'apertura di alberghi e di strutture turistico ricettive o di casa vacanza e B&B in seguito all'incremento di locazioni estive. Ad Amalfi e Positano prevale la domanda di case da utilizzare per le vacanze o da destinare alla creazione di affittacamere e B&B. Ad acquistare sono prevalentemente napoletani. La domanda si orienta su trilocali su cui investire da 300 a 400mila euro.
Lazio 
Dal punto di vista dell'attività di B&B, la maggior domanda si registra, secondo Tecnocasa, a Gaeta. Le richieste si concentrano su bilocali o piccoli trilocali, il più possibile nelle vicinanze del mare e dotati di pertinenze esterne, per una spesa che oscilla rispettivamente tra 100-140mila euro e 150-230mila euro: vengono preferite le soluzioni d'epoca.
Puglia 
In Puglia è il centro storico di Gallipoli che concentra, in particolare, case tipiche del posto, con volte a stella o a botte, ricercate da chi desidera avviare attività di B&B e che, per questo motivo, desidera immobili con almeno quattro stanze. Nel centro storico – segnala Tecnocasa – i valori si aggirano intorno ai 2mila euro al mq per i palazzi d'epoca situati sulle mura.
Sardegna 
«È a Pula che si prevede un aumento della presenza di turisti stranieri grazie all'aumento delle rotte sull'aeroporto di Cagliari – segnala Fabiola Megliola –. Anche per questo si segnala un netto aumento delle richieste di appartamenti da adibire a B&B e case vacanza da parte di investitori sardi». Le tipologie più richieste sono trilocali e quattro locali situati in zone servite e vicine al mare. Le cifre investite partono da 150mila euro e i rendimenti medi sono compresi tra 80 e 100 euro al giorno durante l'alta stagione, che va da maggio a settembre.

“Cascais, il mio paradiso. Se sto qui la mia pensione arriva senza trattenute”



“Cascais, il mio paradiso. Se sto qui la mia pensione arriva senza trattenute”

“Cascais, il mio paradiso. Se sto qui la mia pensione arriva senza trattenute”

Qualche tempo dopo essere andato in pensione vengo casualmente a saperlo: grazie a una legge italiana del 14 maggio 1980 (accordo bilaterale con il Portogallo), se divento residente non abituale in Portogallo, il che comporta passare 6 mesi e un giorno nel nuovo Paese, posso ricevere la mia pensione, accreditata all’estero, al lordo, ossia senza il 37% di trattenute dello Stato italiano; dopodiché, per libera decisione delPortogallo, non verserò alcuna tassa per un periodo di 10 anni.
Interessante, mi dico. Ne discuto in casa e a dicembre 2016 vado a passare qualche giorno a Cascais, la città sull’oceano a 25 km da Lisbona dove reUmberto di Savoia andò in esilio nel giugno 1946, per farmi un’idea. Il periodo è il meno indicato, ma in realtà non è così: perché i giorni che trascorro li passo in un clima mite, la gente che passeggia vestita leggera, molti ragazzi addirittura in camicia o t-shirt. In quanto alla città, è splendida: inondata da una luce indescrivibile e rinfrescata dalle acque dell’oceano che respiri in ogni momento a pieni polmoni.
C’è una passeggiata che parte da Cascais e costeggia l’Oceano toccando le spiagge di Monte Estoril, Estoril, Sao Joao e Sao Pedro: 40 minuti andare e 40 tornare che ti rimettono al mondo. Torno e dico ai miei che sarebbe da pazzi non avvalersi di una simile opportunità. Così riparto e in pochi giorni sbrigo la pratica per diventare residente non abituale: codice fiscale, casa in affitto, conto corrente, documento di cittadinanza, iscrizione all’Aire.
Poi incomincio a vivere (anche) a Cascais: e subito mi accorgo che spendo la metà rispetto all’Italia. A partire dal mangiare. Cascais è piena di ristoranti turistici coi “butta dentro” che cercano di accalappiarti in strada; ma se hai l’accortezza di evitarli, scopri ristoranti, generalmente piccoli, da sogno. Alle spalle del Municipio c’è Dom Pedro: 30 coperti dentro, 16 fuori all’ombra di un ciliegio, che a pranzo propone sempre due piatti del giorno, uno di pesce e uno di carne; e dove al costo di 8,10 euro ti servono una zuppa di verdure, un pesce fresco sempre diverso oppure una carne, proposti con riso bianco, carote, insalata verde e pomodori, un quarto di vino, un dessert che scegli alla carta e un caffè.
Con mia moglie e mio figlio, che a marzo vengono a trovarmi, pranziamo spendendo 25 euro in tre. Essendo Cascais una città di mare, i ristoranti dipesce abbondano. Ognuno con la sua specialità: da Polvo Vadio cucinano solo polipo, freschissimo, tenerissimo; da Moules & Gin la specialità sono le cozze, cucinate in una dozzina di modi diversi e servite con secchiello di patatine fritte e maionese; da Marisco na Praça, nella piazza del mercato, scegli sul bancone il pesce che vuoi, te lo pesano e ti dicono il prezzo, dopodiché lo cucinano nel modo scelto da te. Ti diverti, persino. Sempre nella piazza del mercato, mercoledì e sabato c’è il mercato della frutta, della verdura e dei fiori. I prezzi sono la metà di quelli italiani. Leciliegie, che io acquisto a Soarza e Villanova d’Arda (Piacenza), zona rinomata, a 8 euro al chilo, qui costano da 2,90 a 3,90 e sono spettacolose, nere, carnose, succose. Ma ogni tipo di frutta o verdura costa poco. Come il pane. E come i taxi (per una corsa che in Italia costa 12-13 euro, qui non arrivi a pagarne 5). E le spiagge, che peraltro per 4/5 sono libere.
Nel bagno più costoso, quella della spiaggia di Conceiçao, un mese di ombrellone a luglio e agosto costa 600 euro (150 a settimana) quando nel bagno meno rinomato a Forte dei Marmi te ne chiedono 1.500.
A 5 minuti da Piazza 5 de Outubro, dov’è il Municipio, ho visitato il museo Castro Guimaraes. All’interno ho scoperto un parco lussureggiante, il Marechal Carmona, sempre aperto al pubblico, con alberi secolari, sentieri, laghetti, ombreggiatissimo, popolato da ogni tipo di uccelli, pavoni, galli, germani, e disseminato di sgabelli e sdraio che puoi portare dove ti pare, un luogo incantato, immerso nella frescura e nel silenzio. Quando non mi va di prendere il sole, vengo qui e leggo e penso e mi rilasso. Un’altra cosa che mi ha colpito è la pulizia: delle strade (non c’è una carta per terra), della case (non c’è una scritta su un muro), di ogni luogo. Capisci che il bene pubblico è considerato qui, da tutti, un valore primario, un dovere individuale.
Sono qui, in Portogallo, a trascorrere giorni che mai avrei immaginato di poter vivere, e mentre aspetto che mia moglie si disimpegni dal lavoro e mi raggiunga più spesso, e che mio figlio, studente, ne approfitti e voli qui con amici e amiche, mi domando perché l’Italia, che certo non è meno attraente del Portogallo, non ha saputo fare altrettanto. Qui esco la mattina e sento parlare inglese, francese, tedesco, olandese, svedese, russo, italiano. Succede perché abitare qui è davvero bello, non è costoso e la gente si sente accolta. L’Italia avrebbe tutto per fare come il Portogallo. Invece, fa venire voglia di andare via.

Sesso ogni settimana dopo i 50 anni. E il cervello si mantiene 'giovane'

Sesso ogni settimana dopo i 50 anni. E il cervello si mantiene 'giovane'

Secondo uno studio inglese pubblicato sul Journals of Gerontology,l'atsetività sessuale a quest'età migliora le performance cognitive



CHE IL SESSO faccia bene all’umore, da vecchi e da giovani, ce ne eravamo accorti, e ce lo conferma periodicamente la scienza. Ma che farlo ogni settimana migliori le performance cognitive, in particolare quelle visive, spaziali e linguistiche, nelle persone non più giovani è una notizia. Lo leggiamo sul Journals of Gerontology la rivista che ha ospitato la ricercaFrequent Sexual Activity Predicts Specific Cognitive Abilities in Older Adults.

La ricerca. Gli autori, tre psicologi delle università di Oxford e di Coventry, hanno preso le mosse da una loro precedente ricerca pubblicata lo scorso anno, uno studio  che aveva già messo in evidenza che gli adulti sessualmente attivi ottengono punteggi più alti nei test che misurano le abilità cognitive. Per abilità cognitive psicologi e neuropsicologi intendono un insieme di funzioni che coinvolgono una o più aree del cervello, e che comprendono il linguaggio, l’elaborazione visiva, la percezione dello spazio, il movimento e anche la memoria, l’attenzione, l’apprendimento, eccetera.

La frequenza. Lo studio del 2016 però non aveva preso in esame l’impatto della frequenza dei rapporti sessuali sulle performance cognitive. Quindi, per approfondire e aggiungere un tassello a quanto già ottenuto in precedenza, i ricercatori hanno arruolato 28 uomini e 45 donne tra i 50 e gli 83 anni, hanno stabilito quale fosse il loro stato di salute (nessun danno cerebrale, nessuna perdita di memoria, nessun sintomo di demenza…), lo stile di vita e, tramite questionari, quanto spesso avessero fatto sesso negli ultimi 12 mesi: mai, mensilmente o settimanalmente.

LEGGI Fare l'amore fa bene anche dopoi i 75 anni

Non solo parole, anche spazio e capacità visive. Tutti i 73 partecipanti all’indagine sono stati quindi sottoposti a test validati, di quelli tradizionalmente utilizzati per  valutare le funzioni cognitive nelle persone non più giovani. Il risultato? Chi faceva sesso ogni settimana faceva punteggi migliori. Soprattutto nel linguaggio, che risultava sensibilmente più fluido che non tra coloro che a letto si dedicavano soltanto al sonno, diciamo così. Oltre che con le parole, chi era più attivo sotto le lenzuola se la cavava meglio anche con la percezione visiva e dello spazio.

Le ragioni del potere del sesso. Ora, la domanda che sorge spontanea è: quali sono le ragioni, i meccanismi alla base di queste osservazioni? E soprattutto, di che natura sono questi meccanismi: fisici, psicologici, sociali?  "Sugli elementi che sottostanno ai nostri risultati, se questi siano cioè dovuti a elementi fisici o sociali, non possiamo che fare ipotesi– ha dichiarato commentando lo studio Hayley Wright, primo autore della ricerca, in forze all'università di Coventry – ma abbiamo intenzione di indagare il campo dei meccanismi biologici che potrebbero influenzare la complessa reazione tra  attività sessuale e funzioni cognitive nelle persone avanti con gli anni". Secondo gli autori i prossimi studi dovrebbero infatti includere la valutazione di fattori biologici come ossitocina, vasopressina  dopamina.

LEGGI "A 80 anni il sesso è migliore che a 50"

Sesso e terza età, un tabù che va superato. "Alla gente non piace pensare che le persone anziane facciano sesso, ma -  ha concluso Wright in una nota per la stampa - dobbiamo sfidare questa concezione a livello di società, e guardare all’impatto che l'attività sessuale può avere su chi ha più di 50 anni, oltre gli effetti noti sulla salute sessuale e sul benessere generale”.

MASSIMO 10 ANNI E L’ITALIA SARA’ UNA NAZIONE FINITA

Uno studio choc da Londra rivela che tra massimo 10 anni l’Italia sara’ una nazione finita.“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà”. Così Roberto Orsi,italiano emigrato a Londra per lavorare presso la London School of Economics, prevede il prossimo futuro del Belpaese.*
UN SETTORE DISTRUTTO – Il termometro più indicativo della crisi italiana, secondo orsi, è lo smantellamento del sistema manufatturiero, vera peculiarità del made in Italy a tutti i livelli: “Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa”. (Continua sotto)
RESPONSABILITA’ POLITICHE – Quando si tratta di individuare le responsabilità, Orsi non ha dubbi nel puntare il dito contro la politica: “L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio dell’ex Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo dell’ex Presidente è stato particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e dei due successivi esecutivi, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Chi lo ha sostituito ha seguito esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità.
I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia”.
Uno studio choc da Londra rivela che tra massimo 10 anni l’Italia sara’ una nazione finita.“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà”. Così Roberto Orsi,italiano emigrato a Londra per lavorare presso la London School of Economics, prevede il prossimo futuro del Belpaese.* UN SETTORE DISTRUTTO – Il termometro più indicativo della crisi italiana, secondo orsi, è lo smantellamento del sistema manufatturiero, vera peculiarità del made in Italy a tutti i livelli: “Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa”. (Continua sotto) Un mese fa non aveva nulla, adesso è l'uomo più ricco Milano                                                                                                                                                                   Ho scoperto il lavoro che mi fa guadagnare 45.000€ al mese senza Laurea                                                                                                                                                                   RESPONSABILITA’ POLITICHE – Quando si tratta di individuare le responsabilità, Orsi non ha dubbi nel puntare il dito contro la politica: “L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio dell’ex Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo dell’ex Presidente è stato particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e dei due successivi esecutivi, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Chi lo ha sostituito ha seguito esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia”.

martedì 11 ottobre 2016

Calzature CAFe'NOIR

              

              20 anni di storia e di successi aziendali

CafèNoir un’azienda italiana, che opera dal 1992 nel mercato della calzatura e degli accessori per la persona.
I prodotti nascono in Toscana, vicino a Firenze, nel cuore della creatività e dello stile della moda italiana. CafèNoir come altri marchi e griffe del fashion può contare sulle eccellenze del distretto della pelle denominato “comprensorio del cuoio”, area geografica specializzata nella produzione di pellami, calzature e borse.
Il brand CafèNoir lanciato nel 1997, è diventato in breve tempo un leader di riferimento nel segmento di mercato in cui opera.
CafèNoir è un’azienda fortemente “marketing oriented” che sostiene il brand con la creatività dello stile e costanti investimenti in advertising.

DECOLTE' DI LABARILE ERASMO & C SNCVIA GIAMBATTISTA VICO, 25 - 70029 SANTERAMO IN COLLE (BA)Tel. 080/3039007


                 Management & organizzazione

I grandi risultati raggiunti in questi anni di attività sono dovuti all’azione sinergica di diversi fattori competitivi.
Il management giovane, dinamico e flessibile ha contribuito a sviluppare una cultura innovativa e moderna. L’azienda può contare su un’elevata capacità organizzativa che le ha consentito una programmazione dello sviluppo del business nel corso degli anni.
Tutti i processi aziendali si basano su un know how interno profondamente condiviso e sono supportati da tecnologia idonea a favorire la relazione con gli operatori professionali.
La posizione competitiva raggiunta sul mercato e la gestione aziendale hanno contribuito al raggiungimento di un equilibrio economico e finanziario requisito indispensabile per affrontare le nuove sfide del mercato, che rendono la società un partner affidabile per la distribuzione italiana ed internazionale e per tutta la filiera produttiva

DECOLTE' DI LABARILE ERASMO & C SNCVIA GIAMBATTISTA VICO, 25 - 70029 SANTERAMO IN COLLE (BA)Tel. 080/3039007

           Il posizionamento del brand sul mercato
CafèNoir è un leader in Italia nel segmento “Fashion Accessible”, esporta nel mondo l’Italian Style.
Si posiziona nella fascia di mercato e di prezzo definita della “massima vendibilità”, segmento sempre più strategico per i trend del mercato internazionale.
Negli anni il mercato ha premiato lo stile, il design e l’ottimo rapporto qualità/ prezzo che garantisce una grande rotazione del prodotto.
Una buona “visione” del mercato e la conseguente politica di prodotto, consentono di interpretare costantemente i nuovi bisogni e gli stili di vitadel consumatore moderno, rispettando soprattutto le necessità ed il ruolo strategico della distribuzione nella relazione con il cliente finale.

DECOLTE' DI LABARILE ERASMO & C SNCVIA GIAMBATTISTA VICO, 25 - 70029 SANTERAMO IN COLLE (BA)Tel. 080/3039007

mercoledì 17 agosto 2016

In pochi se ne sono accorti che torneremo tutti agricoltori

Pochi se ne sono accorti in questi anni, ma l’agricoltura è una delle poche vere eccellenze che sono rimaste a questo paese. Torneremo tutti agricoltori?

Ragazzo agricoltore
Negli anni ’50 eravamo una terra di agricoltori diventati operai. Nel giro di vent’anni gli operai sono diventati impiegati. Il problema sono i figli degli impiegati, cui era stata promessa la luna di un lavoro creativo, senza cravatte, gerarchie, noia. E che, complice la crisi economica, si sono ritrovati, molto più prosaicamente, senza un lavoro. Molti di loro ancora non si sono rassegnati, a cercare il loro personale eldorado nella giungla del terziario avanzato. Altri, invece, sono tornati al punto di partenza, ai campi e alla terra.
Pauperismo, anti-capitalista? Decrescita felice? Niente di tutto questo. Al contrario, in questi ultimi anni, mentre il PIL italiano cadeva, il valore aggiunto dell’agricoltura italiana è cresciuto, compreso l’export, il quale è decaduto in altri settori. Questa crescita agricola ha avuto effetti benefici anche sull’occupazione, ma non è riuscita ad influire più di tanto su quella generale del paese, determinata da un forte calo in tutti gli altri settori.
Come ben racconta l’ultimo rapporto di Fondazione Symbola dedicato all’agricoltura,sono ben 77 i prodotti in cui la quota di mercato mondiale dell’Italia è tra le prime tre al mondo, 23 – tra cui pasta, pomodori, aceto, olio, fagioli –  in cui è la prima.
Libri sull'argomento

Impulsi Scientifico Spirituali per il Progresso dell'Agricoltura di Rudolf Steiner
Manuale Pratico di Agricoltura Biodinamica di Pierre Masson
Indicazioni sullo Studio delle Costellazioni di Maria Thun
Agricoltura Sinergica di Emilia Hazelip
Calendario delle Semine 2016 di Maria Thun
Masanobu Fukuoka: Lezioni Italiane di Giannozzo Pucci, Masanobu Fukuoka

La nostra capacità di primeggiare è figlia, soprattutto, della grande qualità delle nostre produzioni. Non è un caso, peraltro, che non ci sia agricoltura in Europa – e poche al mondo – che abbia una capacità di generare valore aggiunto quanto quella italiana. Da noi, un ettaro di terra, produce 1989 euro di valore aggiunto: ottocento euro in più della Francia, il doppio della Spagna, il triplo dell’Inghilterra.
Altro dato piuttosto sorprendente è la nostra supremazia nell’economia delle produzioni biologiche. Nessun paese Europeo ha tanti produttori quanti ne ha l’Italia, che ne può contare ben 43.852, il 17% di tutti i produttori europei. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini continentali, siamo anche sesti al mondo per ampiezza delle superfici a biologico, che crescono a un ritmo di 70mila ettari l’anno.
Il risultato di quest’eccellenza è il frutto dell’innesto di menti giovani e di pensieri innovativi dentro mestieri antichi: oggi, un’azienda agricola su tre è guidata da persone che hanno meno di trentacinque anni.  Non ci sono solo loro e non c’è solo l’anagrafe, tuttavia. L’intreccio con nuovi saperi e nuove tecnologie sta davvero cambiando i connotati all’agricoltura. Un tempo agricoltura era sinonimo di coltivazioni con finalità alimentari, oggi non è più così. Oggi l’agricoltura è una piattaforma su cui si innestano molteplici tipi di industrie, dalla alimentare alla chimica, dall’energia al tessile.
Ragazza agricoltrice
Con gli scarti della produzione agraria, ad esempio, è possibile produrre prodotti biologici in altri settori. Una sorta di bioeconomy che comprende tutte le produzioni sostenibili di risorse biologiche rinnovabili e la loro conversione: ad esempio quella dei flussi di rifiuti in cibo, mangimi, o prodotti bio-based, come le bioplastiche, i biocarburanti e la bioenergia. Un macro-settore, questo, che seppur neonato in Italia, vale già 241 miliardi di euro e occupa 1,6 milioni di persone.
Una soluzione per sfamare, vestire, riscaldare nove miliardi di persone, senza distruggere il pianeta. Forse il ritorno all’agricoltura potrebbe essere non solo la nostra salvezza in termini economici, ma anche quella dell’intero pianeta per quanto riguarda l’ambiente.

Il futuro potrebbe essere il lavoro artigianale !!!!!!

Il futuro è artigiano. Lo profetizzava Philip K. Dick nelle sue opere visionarie, dove spesso il protagonista era una sorta di artigiano, abilissimo nel costruire o riparare le cose. Lo scrive oggi Stefano Micelli. Veneziano doc, docente di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari, e autore di un libro, Futuro artigiano(Marsilio), che ha riscosso l’interesse di tutto il mondo produttivo italiano. Nonché successo tra il grande pubblico.
Le tesi di Micelli sembrano l’uovo di Colombo: il lavoro artigiano è una delle cifre della cultura e dell’economia italiana; se si tornasse a scommettere su di esso, contaminandolo con i “nuovi saperi” tecnologici e aprendolo alla globalizzazione, l’Italia si ritroverebbe tra le mani un formidabile strumento di crescita e innovazione. Come dimostrano alcune delle più dinamiche imprese italiane (da Geox a Zamperla, da Gucci a Valcucine) il “saper fare” rimane un ingrediente indispensabile per l’intero manifatturiero italiano. Che, alla fine, è uno dei pochi settori vitali della nostra economia.
«Parliamo sempre di trasferimento tecnologico – dice Micelli – ma bisognerebbe parlare di osmosi. Osmosi tecnica e tecnologica. Cioè mescolare le abilità artigianali con le competenze industriali; le capacità dei tecnologi e dei manager con quelle, straordinarie, dei tecnici e degli artigiani».
Quella di Micelli potrebbe sembrare una provocazione nostalgica, quasi passatista. In realtà c’è una buona dose di pragmatismo, nella sua riflessione. Non a caso, nel paese innovatore per antonomasia, cioè gli Stati Uniti, la causa dei “makers”, di coloro che si fanno le cose da soli, sta guadagnando sempre più consensi. Per tanti motivi. Ad esempio, per sfuggire alle logiche impersonali della produzione di massa. O perché manutenere è meglio che riciclare; riparare un oggetto che non funziona è spesso un gesto più ecologico che comprarne uno nuovo. Con buona pace dei diktat consumisti.
E poi il lavoro artigianale non restituisce dignità solo alle cose; anche alle persone. Nelle prime pagine del suo libro, Micelli cita la parabola di Matthew Crawford. Laureato in fisica, PhD in filosofia politica, Crawford finisce presto in un noto think tank conservatore. Un lavoro ben retribuito, importante. Ma che non lo appaga. E così, pochi mesi dopo, molla tutto e apre a Richmond (Virginia), un’officina di riparazioni, la Shockoe Moto. Qui aggiusta vecchie motociclette: un lavoro che magari non fa arricchire, ma rende orgogliosi e gratificati.
Riscoprire il “saper fare”. Ben consapevoli però della globalizzazione e dei “nuovi saperi.” In un Paese come l’Italia, famoso per i suoi prodotti di qualità, e dove la disoccupazione giovanile è altissima ma scarseggiano carpentieri, fornai, sarti e scalpellini, non sembra una cattiva idea.
Professore, il titolo del suo libro suona provocatorio. Oggi tutti parlano di economia della conoscenza, e lei tesse le lodi dell’artigianato.
Nel mio libro ho provato a ribaltare una prospettiva, una visione ormai radicata. Noi siamo vittime di un concetto, quello di “economia della conoscenza”, che si fonda su un assunto quasi ideologico: cioè che solo la conoscenza formalizzata è rilevante, ed essa non ha a che fare né con la tradizione né con la manualità. Abbiamo abbracciato il presupposto in base al quale l’unica conoscenza economicamente rilevante è quella scientifica, di tipo generale-astratto. Il nostro presupposto, il Canone occidentale contemporaneo, è questo. Pensi solo al testo L’economia delle nazioni di Robert Reich, e alla sua influenza sulla mia generazione.
Lei lo cita, nel suo libro. «Vent’anni fa Robert Reich […] metteva a fuoco la figura degli analisti simbolici come pivot di una tecnocrazia capace di imporre il proprio ruolo a livello globale. Gli analisti simbolici […] che, di mestiere, “individuano e risolvono i problemi e fanno opera di intermediazione mediante l’elaborazione intellettuale di simboli”».
Robert Reich sosteneva che il futuro sarebbe appartenuto ai cosiddetti analisti simbolici. Gli analisti simbolici sono i consulenti finanziari, i trader, gli intermediari immobiliari e così via. E tutto il mondo gli ha creduto, dando credito a chi si limita a lavorare con PowerPoint dietro lo schermo di un computer. Questa idea oggi è in crisi negli Stati Uniti. Ed è in crisi in tutto il mondo.
Torniamo all’Italia. Cosa c’entra il cosiddetto “quarto capitalismo”, nuova gloria della nostra economia, con gli artigiani?
Oggi, in Italia, si parla tanto di multinazionali tascabili. Ebbene, io ho voluto capire cosa ha fatto e cosa fa la ricchezza di queste medie imprese. Ho preso in considerazione, ad esempio, il settore del lusso. Qui è significativo il passaggio dall’idea di moda, di fashion, a quella di patrimonio culturale, l’heritage. Con il termine heritage le case di moda indicano tutto quello che ha a che fare con il contenuto culturale di un prodotto e con il suo retaggio simbolico. Oggi, se lei entra in un negozio di Gucci può vedere un video con degli artigiani al lavoro su una borsa. È una cosa incredibile: quella borsa vale migliaia di euro, e Gucci mostra come la si realizza. Stiamo parlando di uno dei principali marchi del Made in Italy e di un’azienda con un fatturato di tre miliardi di euro! Deve far riflettere che l’imprenditore francese François-Henri Pinault abbia costruito un’intera strategia su questo.
Sull’artigianalità?
Assolutamente. Pensi a Bottega Veneta. Quando l’ha comprata Pinault, una decina di anni fa, fatturava una trentina milioni di euro. Adesso fattura oltre mezzo miliardo. Tutto scommettendo sull’artigianalità.
Però si tratta di lusso. E il lusso non è il classico settore industriale. In altri campi, ad esempio quello delle macchine utensili, la musica sarà diversa.
Per scrivere il mio libro ho analizzato una serie di casi, cercando di capire come nascano queste macchine, e anche lì ho scoperto delle cose ai più ignote. Si dovrebbe vedere quanta artigianalità c’è ancora nella realizzazione delle macchine utensili. Quanto sia alto il grado di personalizzazione, il livello di “fatto su misura per te”.
Stiamo parlando di pmi o anche di realtà più grandi?
Prendiamo Geox, che è leader nel lifestyle casual. Geox ha decine di artigiani che fanno i modellisti. Una delle forze di Geox è aver internalizzato competenze straordinarie, che una volta erano disseminate nei distretti, e che loro hanno portato in house. Uniscono il meglio delle tecnologie e il meglio dell’artigianato per produrre prototipi che poi vengono industrializzati in giro per il mondo.
Oppure prendiamo un caso dalla provincia di Vicenza, Zamperla. Zamperla è un mix di high tech e artigianalità: in una sala c’è solo tecnologia, computer con i software per calcolare le spinte centrifughe e altro; poi entri nell’altra sala e ci si imbatte in un gigantesco laboratorio di artigiani che fanno pezzi unici. Gente che salda, carpentieri, pittori, decoratori…. Come in Geox, questa combinazione di ricerca scientifica ad alto livello e di manualità, ha dato ottimi risultati. Quando la città di New York ha offerto a Zamperla la possibilità di costruire il luna-park di Coney Island, le ha dato appena 100 giorni di tempo per completare tutto, e loro hanno potuto fare una cosa del genere solo perché dominano un saper fare unico.
Combinare artigiano e alta tecnologia, insomma.
Noi abbiamo seguito acriticamente l’idea che esistesse una conoscenza astratta-scientifica che si traduceva automaticamente in valore economico. È più complicato di come pensavamo. C’è molta intelligenza nel fare, soprattutto quando i prodotti sono pensati per clienti con richieste specifiche o devono evolvere rapidamente nel tempo.
Insomma, rivalutare l’artigianato per poter essere più competitivi sui mercati globali.
Noi, figli dei dogmi di cui le ho appena detto, abbiamo sempre ripetuto il mantra “dobbiamo investire in ricerca”, considerando invece l’artigianato e le professioni manuali come un retaggio del passato. Se si inizia a ragionare diversamente e a vedere nell’artigianato una risorsa, si ottiene di colpo un acceleratore di innovazione di cui non si riesce nemmeno a immaginare la portata. Anziché giocare alla guerra dei mondi, pensi a cosa si potrebbe fare combinando gli artigiani della meccanica, o della moda, o del vetro, e abbinandoli a un ingegnere, a un esperto di comunicazioni.
Combinare il sapere non formalizzato con quello formalizzato e accademico.
Io, che insegno a Ca’ Foscari, ci ho provato con i miei studenti. Ho fatto sette gruppi da cinque ragazzi; ciascun gruppo ha lavorato con un’azienda per sperimentare modi nuovi di valorizzare il saper fare artigiano. Aziende apparentemente low tech, che fanno biscotti, biciclette, o divani. Prima di tutto ho dovuto far capire ai ragazzi che non stavano studiando un caso di folklore, ma che dovevano scoprire una miniera di sapere con il compito di realizzare dei piani di crescita rapida. In questa iniziativa ho coinvolto banche, esperti di relazioni pubbliche, l’ICE.
Mi scusi, ma i suoi studenti come l’hanno presa? 
E i ragazzi ne sono rimasti entusiasti. Molti di loro non avevano neanche mai preso in considerazione un’idea del genere.
Bisogna far riscoprire agli italiani, anche ai più giovani, il lavoro manuale dunque. 
Se si riuscisse a riconciliare gli italiani con il lavoro manuale sarebbe un sollievo: questa concezione manichea, che ha separato il sapere manuale da quello accademico e scientifico, è stato un errore madornale.
Una cosa non esclude l’altra, però: posso puntare sia sulle nuove tecnologie, sia sulla tradizione. 
Certo, può. Però se vediamo quali sono i prodotti che vendiamo nel mondo, notiamo che non esportiamo biotech o nanotech, ma la meccanica, la componentistica, gli abiti di alta sartoria, l’agroalimentare, (un po’ meno) il design. Un giorno, forse, venderemo anche le nanotecnologie, ma stiamo parlando di un orizzonte di lungo termine. La crisi ci impone di rimettere in moto la macchina economica in tempi brevi.
Lei dunque dice: valorizziamo ciò che abbiamo.
Valorizziamolo nel senso economico e culturale del termine. Negli ultimi dieci anni, il numero dei cosiddetti creativi si è centuplicato. Da quando Richard Florida ha scritto della classe dei creativi e delle 3 T (tecnologia, tolleranza e talento), tutti hanno voluto fare i creativi. Mentre il numero degli artigiani è rimasto lo stesso, o è addirittura calato. Quello che deve fare la nostra economia è ragionare proprio sulla saldatura tra il secondario e terziario, tra servizi e industria. Avere tante fabbrichette ormai serve a poco: molto più utile combinare le competenze artigianali di cui ancora disponiamo con quelle degli ingegneri, dei ricercatori, dei medici, degli esperti di comunicazione. Un cocktail così può generare l’inverosimile, a condizione che la nostra cultura riconosca il saper fare come un vero sapere.
Ecco, di nuovo, saltar fuori il titolo del suo libro: futuro artigiano.
C’è un aneddoto rivelatore. Quando Ettore Sottsass, celebre designer italiano, è andato alla Nasa, e gli hanno fatto vedere le componenti delle capsule spaziali, lui, colpito, ha commentato: «Questo posto è pieno di artigiani». L’aneddoto è divertente perché fa capire come l’high tech che servì a mandare l’uomo sulla Luna fosse in realtà tutto “fatto su misura.” Noi crediamo sempre che sia la scienza l’unico modo per risolvere i problemi. Dietro a molta scienza e sperimentazione c’è invece una capacità di fare che magari facciamo difficoltà a formalizzare, ma che rappresenta una risorsa straordinaria per l’innovazione.
I giovani non fanno gli artigiani anche perché spesso sognano di lavorare come dipendenti, pubblici o privati. C’è, secondo lei, una mancanza di cultura del rischio tra i giovani?
È paradossale, ma tutta la discussione sulla meritocrazia negli ultimi anni non ha aiutato la cultura del rischio. È paradossale perché oggi molti dei nostri migliori studenti, proprio in virtù del fatto che hanno ottimi curricula, si aspettano che qualcuno li assuma. Molti di loro si sono semplicemente adeguati a un percorso deciso da altri; lo studente rischia poco di suo. Oggi viviamo in una società che invece esige che l’imprenditore vada controcorrente, facendo cose diverse, scommettendo su quello che altri non fanno. Ecco perché trovo tutto quanto paradossale: da un lato coltiviamo una cultura della meritocrazia, e dall’altro ci aspettiamo che basti un buon curriculum scolastico per farcela. Un film come The Social Network ha forse cambiato un po’ la percezione. Colpisce, nel film, la frase del rettore di Harvard: «Qui i laureati pensano che sia meglio inventarsi un lavoro che trovarne uno».